Appunti di viaggio

Con l’autobus nei Balcani: istruzioni per l’uso

Una storia semiseria

Quanto ci mancavano i viaggi in autobus! È ormai da qualche anno, infatti, che io e mia sorella Dalia non viaggiamo più con i bus di linea nei Balcani. Finché entrambe eravamo sprovviste di patente, gli spostamenti in bus erano il modo più conveniente per raggiungere le nostre mete di viaggio lungo la penisola.

Premessa

Solitamente viaggiavamo sulla tratta Capodistria-Sarajevo e, dopo alcuni anni di assidua frequentazione della compagnia Globtour, gli autisti ci riconoscevano e avevano un occhio di riguardo nei nostri confronti. Un occhio di riguardo voleva dire, per esempio, non svegliarci mentre dormivamo distese tra un coppia di sedili e l’altra. Gli autisti, infatti, viaggiano sempre in coppia sulle lunghe tratte e al cambio guida, o durante le pause, i passaggi su e giù per il mezzo sono frequenti.

Altro privilegio era quello di non ricevere temporaneamente le stecche di sigarette bosniache dirette a Lubiana. Se ogni passeggero si dichiara proprietario di una stecca, ai confini non s’incontrano troppi problemi. Solitamente i prescelti sono i non fumatori, i quali non hanno i propri pacchetti già sparsi nei bagagli. Evitare di essere ingaggiati nell’astuto stratagemma è, comunque, auspicabile.

I viaggi in autobus, in ogni caso, ti permettono di fare molte conoscenze e ti fanno sentire per delle ore – percepite come infinite – parte di una “allegra” comitiva. Alla seconda pausa conosci già tutti e individui gli elementi di riferimento del gruppo, quelli che controlli non spariscano dalle stazioni di servizio facendoti credere di essere rimasto a piedi. La parte del “controllo” dei compagni di autobus riguarda più me che Dalia. Lei non si perde mai ed è fra le prime che risale in autobus mentre io, con alta probabilità, sono ancora in fila in bagno o sto chiedendo in giro un accendino per qualche tiro di sigaretta o, ancora, mi sto ustionando lingua e palato bevendo a collo un caffè.

Cosa da non dare mai per scontata è lo stato fisico dell’autobus su cui trascorrerai ore e ore della giornata. Potresti pensare di essere salita su di un trattore che saltella senza alcuna insonorizzazione del motore, oppure ti potresti trovare nel cuore della notte, in mezzo alla strada, a spingere l’autobus per farlo ripartire. Sempre assieme ai tuoi fedeli compagni di viaggio, ovviamente. Ecco qui una valida spiegazione del doppio autista: in questi casi, infatti, uno dei due sta alla guida e l’altro coordina il gruppo di malcapitati seguendo gli ordini del primo. 

Hajde ponovo!

Quest’anno, dopo circa tre anni di comodi viaggi in macchina, abbiamo deciso di riprendere l’autobus per andare a Sarajevo. È inverno, c’è molta neve, non ci dobbiamo muovere dalla città, il viaggio è comunque stancante e più costoso in automobile…tanto vale “scroccare” un passaggio ai nostri genitori diretti a Zagabria e da lì prendere un bus fino a Sarajevo il mattino seguente. 

Lungo il fiume Vrbas

Ecco, tutta la felicità di rifare un viaggio in bus svanisce quando, dopo dieci minuti, Dalia ha già finito il pranzo preparatoci da mamma e papà e comincia a starnutire ogni 10 secondi. Come ben si sa, infatti, ogni luogo chiuso provvisto di qualsiasi fonte di riscaldamento, dalla Slovenia in giù, presenta una temperatura di almeno 30 gradi creando un ambiente favoloso per la rinite cronica di Dalia, ma anche per i miei turbinati che, ad ogni cambio temperatura, non mi fanno più respirare raddoppiando di dimensione. A ridosso dell’ultimo dell’anno, inoltre, gli autobus sono sempre pienissimi e quindi difficilmente ci si può allungare fra un sedile e l’altro. Ogni tanto ci addormentiamo per una ventina di minuti, svegliate puntualmente dalla testa che crolla o dalla secchezza della bocca tenuta aperta per respirare. 

L’arrivo alla meta

Fra uno sbadiglio e qualche stiracchiamento arriviamo nei pressi di Sarajevo. L’autobus attraversa lentamente il bulevard in mezzo ad una nube di smog e, come per magia, la stazione comincia a farsi sempre più vicina.

Avvolte dal fumo che si leva dalla ćevabdžinica Zmaj, salutiamo cortesemente chi ci ha guidate fin lì e attendiamo l’ultimo mezzo per arrivare a casa, il tram.

Photo Credit: Leyla Vesnic e Chiara Soban

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